29 marzo 2012

Perché scrivo?


Questa è una domanda che tutti gli autori prima o poi si pongono. Domanda facile per alcuni, difficile per altri.

Difficile? Perché difficile? Perché uno scrittore non dovrebbe sapere il motivo per cui scrive?

È possibile. Non è il mio caso, ma posso immaginare che qualcuno non sappia dare una ragione alla propria attività di scrittura.
C'è chi lo fa d'istinto, chi cerca di rispondere a un bisogno che viene considerato primario. Ognuno ha le proprie ragioni, questo è insindacabile.

Leggo sul web di persone che criticano alcuni scrittori, quelli che alla domanda di cui sopra rispondono: "Perché non posso farne a meno", "Perché non riesco a smettere", "Perché il mio obiettivo è mandare un messaggio ai lettori". Quello che io non capisco è il motivo di tali critiche. Dato che siamo quasi tutte persone libere in un paese sostanzialmente libero, ritengo che ognuno possa scrivere per il motivo che ritiene più valido. Per assurdo potrebbe pure essere la prescrizione medica di uno psicologo (la quale, nella mia assoluta ignoranza in psicologia, immagino sia una strada scelta da alcuni dottori).
 
Ma torniamo a me. Perché scrivo?
Ho cominciato anni fa, quando ancora non sapevo niente di case editrici, di editing, di promozione e di tutto ciò che ruota attorno al mondo del libro oltre alla lettura e alla scrittura stessa. Non avevo intenzione di comunicare nessun messaggio a nessun lettore. Non pensavo neanche che ne avrei avuti, di lettori. Troppa modestia? Alcuni possono pensarlo, ma è la pura verità e, come dice un detto, la verità è la miglior bugia.

Io sono sempre stata una lettrice accanita, ormai l'avrete capito dai post precedenti. Ho sempre avuto una fervida immaginazione, dovuta probabilmente pure alle letture che ho sempre portato avanti. Ho ricavato storie da tutti gli spunti con cui entravo in contatto (letteratura, cinema, videogiochi, musica, cartoni animati, arte, ecc.) e li ho trasformati in racconti miei, con dialoghi miei, immagini mie.

E da lì a mettere tutto su carta, come ci sono arrivata? Riprendo il concetto con cui ho aperto questo post: difficile dirlo. Probabilmente è stata la scuola che mi ha spinto nella stesura delle mie storie. Non andavo bene in letteratura, però sapevo scrivere bei temi. La mia professoressa di italiano era difficile da soddisfare, ma io ci riuscivo. Non sempre. D'altronde, non mi sento e non mi sono mai sentita un genio, ma spesso e volentieri prendevo buoni voti, anche se gli argomenti non erano del tutto fantasiosi (si trattava per lo più di saggi brevi). Da lì probabilmente ha preso il via la voglia di scrivere le storie che mi venivano in mente: perché non avevo occasione di farlo in classe, non con saggi brevi come unico sfogo di scrittura scolastica.

Ma forse c'è un'altra ragione che mi ha portato a mettere nero su bianco le mie storie.
Io sono una persona ordinata, metodica. Chi mi segue da vicino nella vita quotidiana, oltre che nella scrittura, lo sa bene. Avevo così tante idee in testa che avevo bisogno di mettere ordine, di dare un metodo alla confusione cosmica che riempiva la mia mente fantasiosa.
Quale modo migliore di stendere schemi, descrizioni, o anche semplici testi e appunti per liberare la mente e fare spazio a nuove avventure in arrivo?
All'inizio erano poche pagine sparse, tanti testi cominciati e mai finiti, pieni di errori e ingenuità che ora mi fanno sorridere. A farmi trovare un metodo ci ha pensato Lande di Shannara, ma questo lo potete trovare anche sul mio sito.

Quindi perché scrivo? Come al solito, ho buttato giù tante parole ma non ho ancora dato una risposta alla domanda iniziale.
Scrivo perché voglio raccontare storie. Scrivo perché, delle tante arti che esistono per raccontare storie, questa è quella che mi viene meglio (che non significa che mi venga bene. Non devo essere io a giudicarmi). Ho cominciato per raccontare storie a me stessa, perché mi divertivo a farlo. Non mi interessava quello che gli altri pensavano di me; non mi importava se, chiudendomi in una stanza a scrivere, le mie relazioni con il mondo esterno ne avrebbero risentito, anche se comunque la scrittura non mi ha impedito di avere degli amici, un fidanzato, un lavoro e uno sport a cui dedicarmi. Mi divertivo a raccontarmi storie, allora e adesso. In seguito, sono arrivati anche i lettori. Tanto meglio. Al mio egoistico bisogno di raccontarmi storie si è unito il desiderio si condividerle, quelle storie.

Quindi non importa perché scrivete, come non importa perché leggete. Basta che svolgiate entrambe le attività, poiché se vi impegnate nella prima non potete fare a meno della seconda. Occorre che lo facciate con leggerezza, senza troppi crucci ne paranoie, ma soprattutto che vi divertiate nel farlo.